Nello
scoutismo cattolico è sempre stata discussa l'identità
dell'assistente ecclesiastico e specialmente ai tempi di
don Ghetti, quando c'erano sacerdoti a sufficienza perchè
in certe realtà cittadine o grosse parrocchie si
potesse destinare un sacerdote all'esclusivo servizio
dei gruppi scout. Doveva essere un prete-scout o uno
scout -prete?
La
"colpa" della questione era quasi
esclusivamente sua perchè, animando i campi di
formazione per assistenti scout, si metteva in gioco
totalmente, con la
grande capacità di animazione e coinvolgimento di cui
era naturalmente dotato, tanto da diventare un modello.
Per
lui la questione non esisteva: vita sacerdotale e
scoutismo si erano unificate in una personalità onesta
e forte, impulsiva
e timida, contraria ai compromessi, rude e
capace di tenerezza e finanche di
sentimentalismi, autenticamente innamorata di Dio e
dell'uomo.
Divenne
scout a 14 anni, nel gruppo Milano XI; lo scoutismo fu
per lui lo stile per vivere tutta la vita con spirito di
avventura (spesso spiegava: "ad ventura", sempre in cammino alla
ricerca di cose nuove) e di servizio, intensamente e
comunitariamente.
Entrò
in seminario dopo la laurea in filosofia del 1935,
celebrò la prima messa nel 1939, in pieno periodo di
clandestinità per lo scoutismo, le cui formazioni si
erano autonomamente sciolte prevenendo i decreti
autoritari del regime fascista.
Per
lui lo scoutismo era davvero quella "route de
liberté" di cui parlava il père Forestier degli
Scouts de France e la visse fino in fondo
specialmente nell'esperienza delle "Aquile
Randagie".
Si
chiamò così quel gruppo di scout, fondato e guidato da
Giulio Uccellìini che in clandestinità sfidò autorità,
polizia e divieti per 17 anni dal 1929 al 1945, vestendo
provocatoriamente l ' uniforme anche in luoghi non
"protetti" come la tenuta della famiglia Osio
a Colico o la mitica Val Codera (si veda il box).
In
maniera tipicamente
scout il nome di un animale e un attributo significavano
la condizione di chi non voleva rinunciare alla propria
libertà essendo dignitosamente "randagi",
senza casa.
Dopo
il 25 aprile don Ghetti si dedicò alla ricostruzione
dell'ASCI (l'associazione di scout cattolici nata nel
1912) riproponendo l'autenticità del metodo educativo
ideato da Baden Powell; in particolare si dedicò alla
strutturazione metodologica della "branca rover"
(per ragazzi dai
16/17 anni in poi) che considerava la più delicata
perchè rivolta ai ragazzi nel periodo delle scelte
defintiive per la vita; con intuito pedagogico, fiducia
nelle possibilità dei giovani e fantasia, inventò e
diresse grandi "imprese" e leggendarie
operazioni al servizio di emergenze e calamità, nel
Polesine per la grande alluvione del'59, nel Vajont, in
Friuli per il terremoto, in Ungheria o a fianco di
fratel Ettore fra i barboni della Centrale.
Lo
scoutismo italiano gli è debitore di quarant'anni di
coerente e a volte testarda testimonianza, in
particolare quando negli anni della
"contestazione" ,di cui non è stato esente il
movimento, c'erano forti tentazioni al compromesso e
alla mediazione.
Negli
ultimi anni
della sua vita, in particolare dopo il 1974 quando
dall'unione delle due associazioni maschile (ASCI) e
femminile (AGI), nacque
l'AGESCI, temendo uno svuotamento di valori e prevedendo
un eccessivo ammorbidimento della proposta educativa
scout, si fece molto critico;e pagò la coerenza e il
coraggio delle sue convinzioni con l'isolamento e la
solitudine.
Ha
scritto Giancarlo Lombardi poco dopo i commossi funerali
del 14 agosto 1980 nella sua chiesa del Suffragio:
"Devo dargli testimonianza, in una società così
ricca di mezze figure, di uomini di poco carattere e
poca passione, di essersi sempre battuto per ciò in cui
credeva senza risparmiarsi nel fisico e nello spirito,
senza mai calcolare se gli sarebbero derivati
riconoscimenti, soddisfazioni, incomprensioni o
fatica".
Nel
1939 Gaetano Fracassi, uno scout clandestino
delle "Aquile Randagie" fece scoprire
ai suoi compagni la Val Codera, una aspra valle laterale
della val Chiavenna che inizia dalla sponda del laghetto
di Mezzola, a tutt'oggi abitata pur non essendo dotata
di strada; una valle ideale per chi cerca natura intatta
e gente dalla umanità autentica; per chi vuol vivere la
libertà completa dei figli di Dio.
Dai
campi delle Aquile Randagie del periodo clandestino, con
don Ghetti, e poi dai campi scuola (per assistenti
ecclesiastici e per capi laici) alle routes dei giovani
rover, è nata e si è consolidata
una forte amicizia con gli scout.
In
questa semplice testimonianza di una ragazza nata e
cresciuta in valle c'è il vivissimo ricordo della
presenza di don Andrea Ghetti che anche qui ha lasciato
una traccia incancellabile.
FARE
UN BOX: DON GHETTI (BADEN) E LA VAL CODERA
Quando
Baden (nome
in codice di don Ghetti, usato nella clandestinità e
rimasto poi come un "nome di battaglia")
saliva a Codera con i suoi scout, era sempre una festa.
Gli
abitanti del paese si davano da fare per organizzare
l’accoglienza. Si aprivano le case, si cucinavano i
dolci della festa e si ornava la chiesa con i fiori più
belli. Qualcuno si preparava per la confessione; si
celebrava la S.Messa delle grandi occasioni. Sembrava di
ricevere la visita del Papa. Lo chiamano Baden, ma per
noi era il “monsignùr”.
Ricordo
quando, insieme agli altri bambini, andavamo ad
aspettarlo alla cappellina del Mut, un centinaio di
metri sopra l’uscita della seconda galleria, poco
prima del cimitero. Il suo arrivo era anticipato
dall’eco della sua voce potente, che spronava quelli
più indietro. Poi arrivava, e appena fatta la curva
sotto la cappellina, guardava in alto, per vedere se
c’eravamo. Il suo sguardo verso l’alto... ricordo
ora quel suo gesto, che diceva bene quanto anche lui
fosse felice di vederci. Si aspettava di trovarci lì, e
noi c’eravamo.
Si
celebrava la Messa e poi, dopo cena, era per noi bambini
il momento più atteso: il falò in piazza, con danze,
scenette, animazioni. Con i grandi ci fermavano tardi a
cantare i canti scout e i canti della valle.
Il
giorno dopo salivano alla Capanna Brasca. Al ritorno,
Baden di nuovo si fermava casa per casa e raccoglieva le
esigenze della gente. Ascoltava tutti con attenzione, e
trovava parole di conforto e incoraggiamento. E che
dispiacere, quando ci si salutava…
Ricordo
di quell’uomo i modi bruschi e il cuore così
generoso. Sempre pronto a fare il possibile per dare una
mano. Voleva bene a tutti e tutti gli volevano bene.
Quando c’era lui, il paese era in festa.
Ricordo
la sua presenza imponente, la sua voce imperiosa, i suoi
silenzi interrotti da esclamazioni improvvise.
Ero una bambina e provavo nei suoi confronti un
misto di soggezione, riverenza e affetto figliale. Ricordo quei suoi rimproveri, tuonati con una severità
teatrale, che lasciava bene intendere tutto l’affetto
che l’accompagnava.
Baden
ha fatto molto anche per me. Se a quell’età ho potuto
superare momenti molto difficili, lo devo anche a lui e
ancora oggi conservo nei suoi confronti un’infinita
riconoscenza.
Ancora
oggi, a Codera, nelle case di quelli che l’hanno
conosciuto c’è un angolino riservato alla foto di
Baden. Ancora oggi, a 25 anni dalla sua morte, quando
ogni tanto racconto di lui ai giovani scout, mi prende
un po’ di magone e mi accorgo di quanto mi manca.
E’
venuto
a mancare troppo presto e spero che da “lassù”
continui a volerci bene……….
Grazie
“Monsignùr”
Ileana
O. |