Fonte: RS SERVIRE (S49,1)

 

ERA UN PICCOLO FRATELLO

Dal quaderno di marcia di un RS.

In una "Città giardino" c'è un bianco ospedale dove un bimbo convalescente attende di uscire. Ma non andrà a casa, lo caricheranno su un treno e andrà in un campo di concentramento. Poiché siamo nel 1944 e quel bimbo è ebreo. I nonni sono riusciti a far rimandare la partenza dicendolo malato e i tedeschi hanno acconsentito di farlo guarire prima di mandarlo a morire. Sulle vie dell'aria corre però un messaggio.

"Qui parla Oscar, ho bisogno di vederti subito!". Dalla voce dell'interlocutore capii che c'era qualcosa di grave per l'aria. Dopo non molto mi trovai dall'amico U. "Bisogna agire subito per sottrarre un bambino ebreo alla deportazione in Germania, colla madre già agli arresti. L'ho fatto uscire dalla prigione persuadendo il medico ad operarlo di appendicite. Ma ormai la convalescenza è finita. È  all'ospedale di X: bisogna salvarlo a qualunque costo". "Va bene  Capo". Così la nostra piccola pattuglia di tre Rover ‑ Scout OSCAR (Organizzazione Scout Collocamento Assistenza Ricercati) affrontava una nuova impresa. Ci portammo alla città indicata ove trovammo ospitalità presso una delle tante buone famiglie che affrontavano rischi non indifferenti pur di fare del bene. Nelle ore di visita fummo all'ospedale. Separatamente, per i rilievi necessari: il bambino si trovava in una sala al piano terreno; una sala da otto letti occupati da donne. Un piantone vigilava il percorso tra la sala e l'uscita non era breve: oltre un lungo corridoio bisognava attraversare un cortile, scendere una scalinata e varcare la portineria. La sera stessa tentammo il primo colpo: mentre un'auto pubblica (e fu lavoro di non poche ore trovare, sondare e persuadere un autista disposto ad arrischiare) attendeva all'ingresso, uno di noi si fermava dal custode per distrarlo, colla scusa di un'informazione, due, infilata la porta, si portavano veloci verso il bambino. Nella penombra dei corridoi avanzammo: una suora ci guardò sospettosa, un'infermiera ci domandò quale "aggravato" cercavamo. Dal corridoio guardammo nella sala: il poliziotto era seduto sul letto del piccolo. Nulla da fare: pur attaccandolo il suo allarme avrebbe bloccato la ritirata, troppo esposta, prima di giungere all'uscita. Dovemmo ripiegare sconfitti. "Qui OSCAR. Muovetevi, il bambino è considerato guarito e sta per essere trasferito". Fingendoci operai girammo, per tutta la mattina seguente, il giar­dino dell'ospedale: finalmente una scoperta preziosa! Nella parte po­steriore un vecchio cancello rugginoso, da anni lasciato inattivo, dava su una piccola strada che, attraverso un deposito di legnami della organizzazione TODT, comunicava colla provinciale. Mentre due di noi provvedevano a far saltare la catena, un altro studiava il percorso per poter giungere da una porta posteriore direttamente alla "sala" evitando qualsiasi corridoio ... Per la nuova impresa eravamo in quattro (un nuovo fratello era stato richiesto per sicurezza). Avanti, adagio. Dalla casupola del guardiano giungevano canti di gutturali voci tedesche. Esse ci furono utilissime per coprire lo scricchiolio dei passi sulla ghiaia. Il cancello cede. Siamo nel giardino. L'oscurità è profonda: qual­che lume vagante. Sono le infermiere che si danno i turni della notte. Ci appostiamo ad una siepe, vicino alla porta d'ingresso della sala. Due indossano camici bianchi: sembrano medici, ciò allo scopo di disorientare eventuali testimoni, due proteggono la manovra. Si sbir­cia dalle persiane socchiuse: il poliziotto è uscito fuori a fumare. Un'infermiera è presso il letto di un malato. "Presto ...". "I signori sono pregati di non muoversi": così risuona una voce mentre due pistole si puntano sui presenti. Uno si avvicina al letto del piccolo. "Non piangere, ti porto da tua mamma". Egli guarda sorpreso. Una coperta lo avvolge: si afferra tremante al collo di que­sto misterioso salvatore. L'infermiera lancia un urlo e si attacca al campanello d'allarme ... Tutto l'ospedale è in movimento. I rapinatori battono veloci la ritirata, mentre i due primi tengono a bada eventuali inseguitori. Voci, luci accese, grida, comandi concitati: il poliziotto sembra impazzito: nessuno riesce a immaginare da che parte si possa essere entrati. Tutte le uscite sono bloccate meno quella che ci interessa. Sor­passiamo il cancello ... i lavoratori della TODT continuano a cantare. Il motore della macchina non si avvia ... sono secondi che sem­brano secoli ... Poco dopo il bambino dorme in un piccolo letto di una casa po­sta a fianco della caserma della milizia. Dall'altra parte vi è la stanza di un ufficiale. Le due teste combaciano: solo un tenue muro le di­vide ... Il giorno dopo vengono arrestati il direttore dell'ospedale, l'in­fermiera e il poliziotto: l'inchiesta è severissima. Ciò che scotta di più è la beffa. "Pronto, OSCAR: tutto bene". A 60 ore dal comando, la "missione" era stata condotta a termine.