Fonte: RS SERVIRE (S52,3-4)

NOI ROVER E LA POLITICA

C'è un posto per noi nella "città? ". Quale deve essere il nostro atteggia­mento di fronte alla situazione politica di oggi? Abbiamo voluto contribuire ad una chiarificazione delle idee esponendo in forme succinte le principali ca­ratteristiche dell'attuale travagliata realtà politico ‑ storica in modo che ognuno possa trarne le conseguenze e definire il suo atteggiamento di cit­tadino italiano che ha promesso di fare del suo meglio per compiere il suo dovere verso la Patria.

Si è più volte ripetuto che il nostro Movimento - appunto perché di formazione integrale - vuol preparare il giovane a tutti gli aspetti e le esigenze della vita. Membro di una "Civitas" terrena il Rover deve guardare al momento storico in cui vive, per conoscerne il senso, il valore e le mete, per influire - in sfere più o meno vaste - perché questo volto sia cristiano. Fare politica - da "polis" -  vuol dire collaborare alla costruzione della comunità umana: ci può essere perciò - almeno nell'ordine teorico - una politica senza funzioni di partito, essendo questo un secondo mo­mento esecutivo. Perché la preparazione di sensibilità politica non sia un semplice di­lettantismo occorre innanzi tutto una soda cultura di problemi sociali, con idee chiare sui presupposti filosofici dei medesimi. Se vogliamo parlare di persona umana, di diritto naturale, di Stato, di nazione ecc., è indispensabile che ogni termine sia ben precisato nel suo valore e nella sua applicabilità. C'è troppa faciloneria e talora presunzione nei giovani, si parla per intuizione, ci si orienta per sentimentalismi. È indispensabile che nei Clan si facciano tenere da persone compe­tenti alcune lezioni di orientamento. Ed è indispensabile conoscere il pensiero del Magistero della Chiesa sui problemi sociali: le encicliche pontificie, le direttive episcopali, le set­timane di studio dei cattolici di tutti i paesi sono miniere ricchissime cui bisogna attingere. Né va dimenticato che è necessario applicare in questo campo il metodo storico ‑ genetico. Cioè di vedere i fatti nel loro sorgere, nelle loro cause prossime e remote, nei loro legami profondi con elementi econo­mici, etici, psicologici, nelle ripercussioni d'indole teorica nei campi del pensiero, nei condizionamenti imposti al vivere civile. Se tutto questo sarà fatto nei singoli Clan con metodo, con serietà avremo contribuito efficacemente al bene avvenire della Nazione: poiché anche di questo soffre la vita politica attuale in Italia: di una dolorosa impreparazione oltre che di una impressionante penuria di uomini capaci di assumere con coscienza le proprie responsabilità. È troppo legata a un ieri recente la vita politica attuale perché pos­siamo giudicarla senza una concatenazione col passato. Dalla presa di Roma la politica italiana sì è mossa attraverso un tormentato e difficoltoso procedere. Tutto il risorgimento - sul quale lo sguardo dello storico va posandosi attualmente con più serena obbiettività - è un alternarsi di luci e di ombre. È necessario che i nostri giovani siano abituati ad uscire un po' dalle formule fatte e da una cultura troppo romantica, quale ci vien data dai primi anni di scuola. L'unità d'Italia è mescolanza di entusiasmi eroici di élite e di len­tezze ed opposizioni di popolo, di anticlericalismi feroci e di lealismo aperto di cattolici ferventi, di utopie repubblicane e di un abile concre­tismo monarchico. Ma non è di questo che vogliamo parlare. Piuttosto come cattolici pensiamo che il nuovo Stato, per grettezze di ideologie anticattoliche, volle essere laicista, con una aperta e costan­te opposizione alla Chiesa, nella speranza non celata di molti che caduto il potere temporale dei Papi, dovesse in seguito sparire anche a l' "oscu­rantismo" da essi rappresentato. Per questo, con accanimento, si soppressero Ordini e congregazioni religiose, si introdusse il matrimonio civile, si parificarono i culti di fronte alla legge, si soppressero le facoltà teologiche, si tolse l'insegna­mento religioso. Rotti i rapporti tra Santa Sede e governo italiano, questa frattura servì ora all'una ora all'altra nazione europea per tenere aperta una lar­vata minaccia sull'ancor fragile nazione italiana. Da una parte l'azione subdola della "Massoneria" ramificatasi nella vita parlamentare, nella burocrazia statale, nelle sfere della diplomazia e dell'esercito, d'altra parte l'irrigidimento di larghe sfere di cattolici che sognavano e speravano un ritorno alla situazione antecedente la brec­cia di Porta Pia: tutto questo rappresenta il travaglio dei primi decenni del Regno. Mentre si andava profilando la questione sociale, agitata nella stampa o sulle piazze e difesa col sangue degli operai che prendevano coscienza dei propri diritti e della propria forza. Il pericolo di una prolungata assenza dei cattolici dalla vita politica italiana, fu attenuato dalla intelligenza dei Pontefici che fermi nella que­stione de iure, aprivano praticamente possibilità di un influsso nella cosa pubblica di uomini onesti e intelligenti. Ma soprattutto la leale, aperta effettiva presenza dei cattolici nella guerra '15‑'18, il loro largo contributo di sangue ruppe per sempre un isolamento e diede loro il diritto di cittadinanza. L'antinomia fra patria e Chiesa era superata. Era giunta l'ora che l'Italia, la cui storia e la cui civiltà non può scin­dersi dalla tradizione cattolica, riportasse nello spirito e nelle forme della sua vita politica un senso cristiano. È prematuro fare oggi l'analisi di un'epoca troppo recente. Le in­quietudini ideologiche, il marasma postbellico, i sussulti economici, il gioco di chi era troppo preoccupato a salvare i propri interessi, un esa­sperato spirito nazionalistico, la debolezza di governanti, hanno portato al fascismo. Una cosa pensiamo di dover sottolineare: la disabitudine ventennale ad una sensibilità politica, il devolvere a pochi o ad uno solo il compito di "pensare" alle sorti della nazione, il ridurre la stampa ad una uni­formità incolore, I'aver fatto tacere ogni opposizione, il premere con gli urli di piazza sulle soluzioni di politica estera, il credere la forza (numero, armamento ecc.) un segno di ragione, tutto questo ha creato uno squili­brio profondo e doloroso. Poi la tragedia dell'ultima guerra: con i delitti di parte, la distru­zione di ogni rispetto per l'uomo, l'odio portato fino alle pareti dome­stiche. Questa è cronaca di cui ognuno è stato attore. Sono però intossicazioni il cui superamento richiede un'opera lenta e progressiva: forse lo si dimentica spesso. Si ripete che l'attuale è una fase di ricostruzione. Su quali presup­posti? Allo sguardo del giovane la vita politica italiana si presenta entro questi schemi. Da una parte una imponente organizzazione di sinistra. Al di là di un miraggio di benessere economico il più delle volte troppo semplicista per essere di possibile attuazione (togliamo le tasse e lo Stato provvederà a tutto) rimane un apparato militare pronto ad una rivoluzione armata. Quando il comunismo fa delle rivendicazioni sociali anche legittime, occorre però vedere se le soluzioni proposte sono realizzabili e i mezzi moralmente accettabili. C'è una dignità umana, una libertà di pensiero, un diritto a inalienabili diritti, cui nessuno può rinunciare. Da parte opposta ci sono i Movimenti di destra (talora tanto di de­stra da toccare la sinistra) con un programma sociale impreciso, nessun contenuto teorico, vivi solo per la nostalgia di chi guarda ad un ieri tra­montato, o per uno spirito nazionalistico dei giovani. Al centro un grande partito cui il popolo italiano, con una votazione imponente, ha dato la fiducia di governare. Esso porta i difetti di tutte le cose troppo vaste: lentezza di decisioni, incertezza di esecutività, ricerca di una formula che concordi le diverse correnti interne, dominio di piccole consorterie, larga infiltrazione di arrivisti. In molte cose la Democrazia Cristiana ha disilluso, con l'attenuante di aver ricevuto la triste eredità di una guerra perduta, con tutte le conseguenze economiche, morali e politiche. Né bisogna disperare di una revisione interna di programmi e di uomini. Recentemente - al suo fianco o sopra di essa (non si sa bene per l'incerto esprimersi dei massimi responsabili) - si sta ponendo l'Azione Cattolica, che, preoccupata della situazione generale italiana, vuol but­tare sulla bilancia politica il peso della sua potente e ramificata organiz­zazione. Molti guardano a questa apertura con certa preoccupazione per il pericolo che presenta di portare sul piano di interessi contingenti un'o­pera di apostolato laico. Certo che la formula migliore resta quella di cattolici politici (cioè di responsabilità personali assunte con animo di credente) piuttosto che di partito cattolico (con compromessi teorici e pratici ed equivoci peri­colosi). Quale la scelta? La maturità di ognuno, nel rispetto di norme mo­rali e religiose supreme, deve dare la risposta. Resta al fondo della questione un problema di uomini onesti, colti, intelligenti. Di questi l'Italia ha oggi estremo bisogno. Senta ognuno la responsabilità di preparasi e preparare altri giovani: per pesare nella vita pubblica di una Nazione, per adempiere l'impe­gno di fare "del nostro meglio per compiere il nostro dovere verso la Patria", per testimoniare anche nella vita politica la perennità del Mes­saggio Cristiano.